Parrocchia Mariano al Brembo

Parrocchie di rito ambrosiano già di Milano ora nella Diocesi di Bergamo

da un libro di Enrico Cattaneo; pagg.2-11

Gli antichi confini della diocesi di Milano sono ancora segnati dalle parrocchie di rito ambrosiano appartenenti ad altre diocesi. Le modifiche di essi vennero compiute soltanto per ragioni politiche, le quali, prima che fosse raggiunta l’unità del territorio nazionale, spesso variarono, soprattutto dalla fine del secolo XVIII, trascinando con sè realtà spirituali.

Sorprende constatare come i motivi che portarono alla separazione da Milano di parrocchie oggi appartenenti alle diocesi di Novara, Bergamo, Pavia, non durarono neppure cinquant’anni.

Soltanto ancora appare valida l’aggregazione delle 53 parrocchie del Cantone Ticino a Lugano per il valore militare ed economico assunto dai confini nazionali.

Senza dubbio il fatto che appare ancora oggi il più importante è la presenza di 43 parrocchie ambrosiane nella Diocesi di Bergamo. Poiché i documenti relativi non furono mai pubblicati né i motivi dello stralcio resi noti, torna bene il farlo.

Va detto subito che il fatto è soltanto un episodio dell’azione intrapresa dall’imperatore Giuseppe II nei paesi appartenenti alla Casa d’Austria, per unificare i confini delle ripartizioni ecclesiastiche e civili; per quanto riguarda poi il nostro territorio deve aggiungersi la volontà di eliminare la giurisdizione religiosa dei vescovi stranieri sul territorio appartenente al sovrano. Giuseppe II trovò poi l’appoggio della Repubblica di Venezia, la quale sentiva del clima generale e non si lasciò sfuggire l’occasione di raggiungere uguali mete in ogni lato dei suoi confini. Quanto poi alla condotta seguita dalla Santa Sede e dai Vescovi, esattamente, bisogna giudicare questo fatto dei confini diocesani come, a sua volta un episodio delle grosse questioni nate dai principi del giurisdizionalismo trionfanti nella seconda metà del secolo XVIII.

Il cancelliere della pieve di Verdello, allora inclusa nella diocesi di Milano, il 23 ottobre 1784 scriveva all’arcivescovo Filippo Visconti di aver ricevuto, il giorno prima, dal vescovo di Bergamo l’avviso che “in conseguenza della massima generale stabilita tra la Corte di Vienna e la Repubblica di Venezia di assumere Esso Monsignore di Bergamo l’interinale amministrazione spirituale delle 43 parrocchie situate in territorio Bergamasco” e pertanto “d’ora innanzi tutti li suddetti Parrochi riguardino interinalmente la Curia vescovile di Bergamo come loro propria“.

Il Curato poi di Calolzio avvertiva (2 novembre) l’Arcivescovo che tutto ciò aveva “messo il clero della mia e delle circonvicinine parrocchie in somma confusione“.

Ancora il 2 novembre il ministro Kaunitz scriveva all’Arcivescovo:

Dovendosi a norma de’ Reali Ordini limitare reciprocamente il confine delle diocesi al territorio civile fra la repubblica di Venezia e la Lombardia Austriaca, si compiacerà, V. E. Rev.ma di prendere gli opportuni concetti e di disporre, perché abbia effetto la comandata separazione rapporto alle parrocchie e chiese che sono situate nello Stato Veneto e sopra le quali non potrà Ella d’or in, avanti esercitare alcun atto dell’ordinaria sua giurisdizione. Siccome poi si estende per parte de’ Vescovi Veneti la competenza vescovile alla parrocchia di Fara Gera d’Adda ducato di Milano, così questa è assegnata e sottoposta alla pastorale cura e vigilanza di V. Ecc. Rev.ma. Essendo l’operazione circoscritta alla sola Repubblica di Venezia, io prevengo V.E. Rev.ma di ritenere per massima che rapporto alle diocesi che hanno relazione con altri Principi finitimi, non. si deve fare alcuna mutazione, ma lasciare le cose nello stato in cui si trovano.

L’Arcivescovo il giorno seguente rispondeva:

non mancherò di tosto prendere gli opportuni concerti … facendo cessare in esse ogni atto dell’ordinaria mia giurisdizione … Quanto a Fara d’Adda… la considero sin d’ora in avanti come assegnata e sottoposta alla mia pastorale cura e vigilanza.

Il Governo austriaco (4 novembre) avvertiva poi che tutti i beni dovevano essere conservati alle singole parrocchie dell’una e dell’altra parte. L’Arcivescovo assicurava che si sarebbe tenuto “rigorosamente” alle disposizioni date.

Giuseppe II aveva agito secondo un metodo che gli era molto caro, quando doveva interferire nelle cose ecclesiastiche: mettere i vescovi di fronte al fatto compiuto, sforzandosi poi di dimostrare che quanto era stato fatto, era di suo diritto e che non era cosa la quale dovesse far chiedere alla Santa Sede speciali poteri da parte dei Vescovi, perché entrava già nella potestà loro ordinaria.

Non era facile nè conveniente rifiutare subito obbedienza. Per questo i due Vescovi accettarono il fatto compiuto; per la tranquillità di coscienza, dei parroci e dei fedeli, subito accordarono le necessarie facoltà di ordine spirituale; poi informarono Roma.

Nel frattempo la stessa opinione pubblica mormorava per fatto e per il modo. Fu redatta allora, firmata da Pecci e Bovara (28 gennaio 1785), una “consulta circa il diritto del principe a determinare nei suoi stati i confini territoriali delle diocesi“.

Della lunga dissertazione storico-legale basta leggere l’inizio e la fine per comprenderne lo spirito:

Si cerca nella presente questione se allorché i principi confinanti sono convenuti fra loro nella commutazione delle diocesi esistenti nei rispettivi domini, possano i vescovi e debbano prestarsi alle ordinazioni del sovrano, ed esercitare immediatamente la giurisdizione episcopale sul territorio nuovamente loro assegnato senza domandare al superiore ecclesiastico la facoltà per estendere i diritti vescovili sulle parrocchie che non erano incorporate nella primitiva diocesi nell’atto della loro ordinazione…

… si tratta d’un dritto spettante privativamente al principe cui è unicamente riservata la regolare distribuzione delle provincie e l’assegnazione de’ sudditi al governo spirituale d’un pastore che non sia estraneo, o inconfidente: dritto che non può essere esercitato da altri che dal medesimo principe e che come unito e inseparabile dalla sovranità non può rendersi precario o dependente da un’estera potestà. Questo è il mio sentimento, nel quale tanto più volentieri mi confermo quanto che vedo che una parte de nostri vescovi ha già eseguiti i comandi di S.M. e gli altri si mostrano disposti ad uniformarvisi semprechè ricevano le superiori dichiarazioni che han ricercate con le lettere esistenti negli atti qui annessi.

Oltre all’opinione pubblica la Corte di Vienna era preoccupata di un’informazione giuntale che cioè Roma aveva suggerito ai Vescovi di Milano e Bergamo di seguire l’esempio di Trento che, trovandosi in uguale circostanze, aveva posto nelle mani del Papa le parrocchie, sulle quali vertevano le trattative, ricevendole poi ciascun Vescovo dal Sommo Pontefice. In tal modo non si contraddiceva Giuseppe Il e nello stesso tempo erano salvaguardati i diritti della Chiesa.

Ma il ricorrere a Roma dei Vescovi era proprio ciò che urtava l’imperatore. Pertanto il Principe di Kaunitz scriveva a Milano:

… ho veduto l’incidente nato nell’esecuzione per parte de i Vescovi dell’ordinata regolazione delle diocesi a norma del territorio civile fra codeste Provincie e le confinanti venete, e ciò per le insinuazioni pervenute da Roma ad essi, acciocché si conformino al noto esempio del Vescovo di Trento per il consimile cambio, che gli incombe di fare di alcune parrocchie colle venete fin’ora soggette alla sua Diocesi.

Il dotto e ben ragionato parere del Sig. Segretario di Stato, avvalorato anche dalle ben fondate riflessioni di V.E., toglieva ogni dubbio sulla opinione, in cui io medesimo ero stato già prima per l’esclusione del concorso dell’assenso papale a questa operazione dipendente unicamente dalla Potestà del Principato e dall’originaria facoltà diocesana de’ Vescovi.

Ho però consultato a S.M. l’esclusione del Concorso Pontificio inerendo al parere del Governo, e per conseguenza l’ordine da darsi a i Vescovi, acciocché nell’atto formale di reciproca cessione e consegna delle Parrocchie che rimane ancora da farsi in concorso de’ Vescovi dello Stato Veneto a compimento dell’affare, non venga fatta alcuna menzione, e sotto qualsivoglia titolo e pretesto di facoltà, delegazione o autorizzazione qualunque per parte del Papa.

Vi ho aggiunto però, che se mai, ciò nonostante, o avanti, o dopo l’ora mentovato atto fra i rispettivi Vescovi, venisse loro rimessa qualche Bolla o lettera pontificia, forse da essi procurata sotto mano, sia di concessione, collaudazione, ratifica, o altra consimile, si potrà ciò ignorare, o dissimulare per parte del Governo; ben inteso però che tale Breve o altra lettera per commissione Pontificia non. potrà presentarsi negli atti, e molto meno darvisi l’exequatur della Giunta Economale.

S. M. si è degnata approvare intieramente l’umilissima mia consulta: onde non, differisco di renderne intesa V.E., perché si compiaccia egualmente recarne la notizia al Ser.mo Arciduca Governatore per gli ordini da darsi ove spetterà.

Del rimanente ho veduto con molta soddisfazione che in questa occasione il contegno del Sig. Arcivescovo di Milano, come pure quello non meno lodevole de i due Vescovi di Mantova e di Cremona e non ho omesso di rilevarne il merito a S.M. nella fiducia ch’essi anche in avvenire corrisponderanno esattamente al loro dovere in tutto ciò che può interessare i diritti del Principato e li loro propri.

Pertanto il Conte de Wilzech scriveva all’Arcivescovo (19-3-1785):

Si è degnata S.M. di dichiarare che nell’atto formale di reciproca cessione e consegna delle parrocchie da farsi in concorso de’ Vescovi Veneti a compimento della comandata limitazione delle diocesi al rispettivo confine del territorio, non venga fatta alcuna menzione, sotto qualsivoglia pretesto e titolo dì facoltà, delegazione o autorizzazione qualunque per parte del Papa, dipendendo questa operazione dalla Potestà del Principato e dalla originaria potestà, diocesana de’ Vescovi. Il Reale Governo pertanto partecipa a V.E. R.ma la relativa Sovrana determinazione, affinchè colla solita sua condiscendenza vi si uniformi e passi secondo le precisate istruzioni agli atti autentici di reciproca cessione e consegna coi Vescovi Veneti, presentando successivamente al Governo i detti Atti, onde siano placitati e così consti della esecuzione degli ordini di S.M. Intesa poi S.A. il Sig.Principe Kaunitz del consegno tenuto da V.Ecc.R..ma in quest’affare, lo ha trovato degno della superiore sua approvazione e non ha omesso di rilevarne il merito a S.M. nella fiducia che V.E. R..ma continuerà a corrispondere alle intenzioni di S.M. ed a tutto ciò, che può interessare i diritti del Principato e quelli della competenza Vescovile.

L’Arcivescovo rispondeva (23 d.m.):

…farò in modo che nell’atto suddetto non venga fatta sotto qualsivoglia titolo menzione alcuna di facoltà o delegazione per parte del Papa e quindi lo rassegnerò al R.G. perché sia munito della prescritta placitazione. All’oggetto poi di conchiudere con sollecitudine l’ultimazione di quest’affare, ho l’onore di assicurare l’Eccellenza Vostra aver’io di già scritto a Mons. Vescovo di Bergamo invitandolo ad un abboccamento in luogo opportuno ad ambedue, affine di convenire sulle massime e quindi stabilirle in iscritto.

Il Vescovo di Bergamo rispondeva (23 agosto 1785) all’invito con una lettera nella quale è facile trovare testimonianza del disagio in cui si dibatteva:

Può bene V.E.R..ma persuadersi aver io accolto col dovuto grado di riverenza le di lei insinuazioni e l’invito cortese di passare a Groppello per versare sul noto affare della già seguita separazione delle diocesi colla limitazione dei rispettivi confini civili dai due Sovrani unitamente stabiliti. Non ho potuto immediatamente prestarmi alla di lei obbedienza, avendo dovuto per le pubbliche massime di questo Ser.mo Governo precedere alle mie mosse una sovrana permissione. Mi rivolsi pertanto al Senato per tale oggetto, da cui, fermo il distacco già seguito delle parrocchie colla prefissa norma del confine civile, sono abilitato in oggi di poter comunicare e ricevere così in voce come con lettere tutte quelle maggiori istruzioni, lumi ed intelligenze che si rendessero scambievolmente necessarie per il buon governo del clero e delle nuove parrocchie assunte sotto la rispettiva spirituale giurisdizione, acciò tutto proceda colla dovuta buona armonia e corrispondenza in conformità delle massime convenute fra Sovrani, delle quali ne fui reso consapevole colle Ducali 2 ottobre 84 e 15 novembre 1794. V.E.R..ma ben vede, che circa la massima non ho libertà alcuna, e che ancora nei modi quando riguardassero la pubblica autorità, prima d’acconsentirvi sono obbligato a partecipare qualunque proposizione al Senato per ottenere il reggio placito. Quindi V.E.R..ma comandi. Se vuole onorarmi di proporre per lettera il piano, che stima convenire in simili circostanze lo faccia pure, che io chiaramente risponderò a norma delle mie istruzioni: se comanda comunicarmele a voce mi assegni luogo e tempo, onde possa avere il bene di baciarle le mani…

Alcune difficoltà però differiscono l’incontro dei due Vescovi a Groppello sino al 5 ottobre. Nel “Carteggio ufficiale” ho trovato gli appunti degli argomenti da trattarsi che testimoniano la delicatezza del momento:

Due sono gli oggetti da trattarsi con Mons. di Bergamo. Il primo delicatissimo per iragione delle massime de’ due Sovrani e però da convenirsi in voce. La Serenissima Repubblica crede che non vi sia bisogno di effettuare la concessione delle parrocchie fra i Vescovi con un atto d’istromento, il quale atto si ricercava da S.M. per assicurare alla posterità la storia di questa separazione per mezzo d’istromenti da serbarsi negli archivi vescovili.
Ora che si crede di potersi omettere il sud. istromento deve concertarsi segretamente e con tutta la delicatezza come possa usarsi canonicamente la giurisdizione sulle parrocchie cedute. Parrebbe che a ciò dovesse concorrere l’autorità pontificia, dalle cui mani ogni Vescovo nella sua preconizzazione riceve nominatamente ciascheduna Parrocchia. Il disimpegno senza urtare le massime, sovrane sarebbe che l’arcivescovo scrivesse una lettera a Mons. di Bergamo colla quale dichiarasse di cedere le singole 43 parrocchie, che si staccano; che lo stesso facesse Mons. di Bergamo a Mons. Arcivescovo rispetto all’arcipretura di Fara, che in seguito ciascuno dei due per mezzo di terza persona facesse fare a voce l’istanza a Roma esibendo la sud. lettera per ottenere la facoltà di giurisdizione sopra la parrocchia o parrocchie assunte rispettivamente di nuovo. Sull’altro oggetto del Seminario di Celana deve sostenersi la massima che non essendo questo un bene appartenente a Mensa Vescovile o Parrocchiale non cade sotto la smembrazione. Se poi Mons. di Bergamo ha cosa a dire in contrario lo potrà mettere in iscritto perché in iscritto gli sarà comunicata la risposta.

Affiora in questo documento la questione nella quale non fu facile l’accordo fra Milano e Bergamo come molte lettere, qui non usate, testimoniano; ed infatti l’Arcivescovo il 23 ottobre scriveva al Pecci che a Groppello si erano “scambievolmente comunicate le reciproche intelligenze che si sono credute necessarie per il buon governo del Clero e delle nuove parrocchie rispettivamente assunte“, ma che non era stato raggiunto un accordo circa la sorte del seminario di Celana, perché Bergamo lo richiedeva e Milano non desiderava cederlo.

Evidentemente l’Arcivescovo tacque con il Governo dell’accordo preso con il Vescovo di Bergamo di trattare l’affare delle parrocchie con la Santa Sede, a somiglianza di quanto aveva fatto il Confratello di Trento.

Da Roma infatti giunse questa bolla:

Mediolanen. Dimissionis Ecclesiarum Parochialium ac, Incorporationis alterius Paroeciae Dioecesis Bergomen. Cum. R.P.D. Phi lippus Vicecomes Metropolitanac Ecelesiae Mediolanen. Archiepiscopus nonnullas Paroecias in Gian Paolo Dolfin Dominio Veneto existentes, nempe… [seguono i nomi] respective vulgo nuncupatas in manibus Sanctissimi Domini Nostri dimiserit, omnique jurisdictione, quam in praedictis paroeciis uti Archiepiscopus exercere poterat, se penitus abdicaverit, humiliter eamdem Sanctitatem Suam deprecando, ut praefatam dimissionem supradictarum Paroeciarum admittere dignaretur, Sanctissimus Dominus Noster in suprema apostolatus specula constitutus a Domino, ut Ecelesiae bono, ac animarum saluti un,dequaque recte sapienterque consulat atque prospiciat, ad mei infrascripti relationem, omnibus mature perpensis, praedictas paroecias ab codem R.P.D. Mediolanen. Archiepiscopo dimissas clementer acceptavit, easque perpetuo avulsas ac dismembratas a supradicta archiepiscopali dioecesi Mediolan. declaravit ac earumdem dispositionem sibi Sedique apostolicae suis loco et tempore declarandam reservavit. Ac praeterca eadem Sanctitas Sua, attenta dimissione parochialis ecclesiae di Fara di Pieva d’Adda vulgo nuncupatae in dioecesi Bergomen. existentis a R.P.D. lo: Paulo Delfin eiusdem Ecclesiae Bergomen. Episcopo facta, praefatam parochialem. Ecclesiam di Fara di Pieva d’Adda vulgo nuncupatam. ab eadem. Bergomen. Dioecesi de apostolicae potestatis plenitudine dividere ac separare et in perpetuum Archiepiscopali Mediolanen. Dioccesi, uti cum eadem conterminam unire incorporare et adijcere benigne dignata est cum omnibus et singulis Ecclesiis beneficiis, monasteriis, Conventibus, Clero, Personis saccularibus et Regularibus in praedicta paroecia sie dismembrata existentibus et commorantibus ita ut cadem Paroccia cum omnibus et singulis in posterum subiecta sit Archiepiscopo Medialanen. prout hactenus subiecta fuit praedicto Episcopo Bergomen. cum clausulis solitis et consuetis, mandavitque expediri decretum ac deferri inter acta Sacr. Congregationis Consistorialis. Datum Romae hac díe 6 septembris 1786.

Risolta ormai la questione dall’Autorità suprema della Chiesa, il Vescovo di Bergamo Giovanni Paolo Dolfin pubblicava il 13 dicembre una lettera pastorale indirizzata “ai dilettissimi parrochì, clero e popolo della porzione aggiunta alla sua diocesi“. In essa è data assicurazione precisa per la salvaguardia del rito Ambrosiano.

Giovanni Paolo Dolfin

Poiché piacque alla Provvidenza di quel Dio, il quale fa solo cose grandi meravigliose, che Voi Fratelli, e Figli Dilettissimi in Gesù Cristo legittimamente smembrati dalla Chiesa Metropolitana foste uniti, e incorporati in perpetuo a questa nostra Diocesi, per dovere del Pastorale Nostro Offizio veniamo per ora a visitarvi con questa Enciclica, riserbandoci a tempo opportuno di farlo personalmente a nostro maggior lume, vantaggio vostro spirituale, ed a comune scambievole consolazione. Ci lusinghiamo fermamente, che tutti voi riceverete con cordiale compiacenza questo pubblico attestato del paterno nostro amore verso di voi, e da questo argomentarete l’ardente nostro desiderio, che sempre più si stringano tra di noi quei forti vincoli di carità cristiana, per cui pos-siamo formare un cuor solo, e un’anima sola in Dio. Non è già, che Noi non vi amassimo nel Signore anche per lo passato, e così non vi bramassimo di cuore da Dio ogni celeste benedizione. Dacché contro ogni nostro merito siamo stati assunti al formidabile ministero dell’Apostolato, ci siamo sentiti a nascer nel seno la sollecitudine per tutte le Chiese: per voi eravamo anche singolarmente impegnati e perché nazionali, e perché contermini a questa Chiesa, e perché finalmente della stessa Metropolitana Provincia. Ma per questo cangiamento però, che ha voluto il Signore, siccome s’accresce per Noi la cura con maggiori travagli, e fatiche, e più ardente dee essere il zelo per il bene delle vostre anime, cosi ha da aumentarsi ancora la fiamma di carità. Perché poi questa carità pastorale sortisca il bramato suo effetto si richiede pari corrispondenza d’amore. Argomento poi d’amore è, al dire del gran Dottore S. Gregorio, l’offerta dell’opera. Quindi Noi supplichiamo, e scongiuriamo nelle viscere del Signore tutti li Reverendi Pastori d’anime, tutti li Sacerdoti, e Chierici della nuova porzione a dar segni non equivoci, ma evidenti della loro verace, e non finta carità coll’esatto adempimento di tutti li doveri annessi al venerabile loro stato. Sapiamo i loro propositi, le loro istituzioni, e l’ottima disciplina, che hanno ricevuta dalla Chiesa Metrapolitana. Non ignoriamo i loro meriti, e la puntuale obbedienza prestata agli Ordini del glorioso S. Carlo, e de’ suoi illustri Successori; e però siccome sono stati sin’ora il gaudio, e la corona di quelli, così vorranno ben essere in appresso ancora la nostra gioja, e’1 nostro ornamento. Quelli, che sono di Rito Ambrosiano, seguiteranno la loro Liturgia, e Noi ci compiaceremo ancora d’istruirci in quella per comunicare con essi loro con egual ordine, e coabitare con pari consenso nella Casa del Signore. A tutto il Popolo poi di qualunque età, sesso, e condizione raccomandiamo la Fede in Dio, il Santo Timor di Lui, li doveri del proprio stato, le cristiane istruzioni nelle Chiese, la frequenza dei Santissimi Sacramenti, la fuga dai pericoli, e dalle cattive occasioni; la pace nelle famiglie, e principalmente la cristiana educazione dei figliuoli, e riserbandoci a tempo debito di versare a voce sù questi, ed altri punti simili di Cristiana Morale, inculchiamo per ultimo il preciso obbligo universale di porgere incessanti preci all’Altissimo per l’esaltamento della Santa Madre Chiesa Cattolica, di cui Capo visibile è il Romano Pontefice Papa Pio VI, che felicemente la governa, per la felicità della Serenissima, e Cristianissima Repubblica di Venezia, che è l’amorosissimo Nostro Principe, e per la miserabile Persona Nostra. E con pienezza d’amore impartiamo a tutti la Pastorale Nostra Benedizione.

Dall’uno e dall’altro Governo continuavano nel frattempo le sollecitazioni perché si giungesse all’atto pubblico della cessione. Dai due Vescovi si convenne, d’accordo con le rispettive Autorità governative, di lasciare in sospeso la questione di Celana. Fu steso allora il documento di cessione, evitando, secondo gli ordini ricevuti, di accennare alla bolla pontificia. Infatti dall’ufficio di Polizia il 26 febbraio 1787 si assicurava l’Arcivescovo che il testo “corrisponde pienamente alle adottate massime, nè contiene espressione veruna che si opponga ai veglianti principii giurisdizionali, epperò V.S.R..ma potrà liberamente passare alla formale stipulazione”. Dell’atto furono redatte due copie, depositate presso le Curie di Bergamo e di Milano. Ne do il testo sfuggito al redattore del volume IV degli Acta Ecclesiae Mediolanensis:

Notum sit omnibus, ad quos spectat, quod cum inter Sacram Cesa. ream Regiam et Apostolicam Maiestatem, ac Serenissimam Rempublicam Venetani conventum fuerit, ut Parochiae infrascriptae, quae in Provincia Bergomensi iure ordinario ad Archiepiscopatum Mediolani hactenus pertinuerunt, plene et omnimode cedantur Episcopatui Bergomensi et e contra Parochia loci Farae spectans ad Episcopum Bergomensem siti in Ducato Mediolani, ad eundern Archiepiscopatum Medielani pariter cederetur, eisdemque vicissini perpetuo unirentur. Ideirco Excellentissimus et Reverentissimus Dominus Philippus Vicecomes Archiepiscopus Mediolani, et Illustrissimus et Reverendissimus Dominus Don loannes Paulus Dolfini Episcopus Bergomi eatenus consenserunt, quod eadem respectivae Parochiae cuin Beneficiis in Provincia Bergomensi iisdem adnexis pariter cum omnibus suis juribus, pertínentiis, ac dependentibus imposterum et perpetuis temporibus censeri, et esse debeant, respectu inarum alias in dioecesi Mediolani sitarum, pars dioecesis Bergomensis, et respectu illius Farae pars dioecesis Mediolanensis, prout easdein respectivas Parochias et Beneficia tam praefatus Excellentissimus et Reverendissimus Dominus Archiepiscopus Mediolani, quam praedictus Illustrissimus et Reverendissimus Dominus Episcopus Bergomi respective, et vicissim pro sese, et respectivis successoribus suis vigore huius conventionis libere absque ulla quoad praemissa tantum, reservatione, aut conditione, omni meliori modo, jure ac forma in perpetuum et irrevocabiliter respectivis Episcopatui et Archiepiscopatui renunciaverunt, cedunt ac relinquunt, eademque sicut supra renunciata, cessa ac relieta, esse et manere volunt, ac declarant, nimirum respectu illarum quae dimittuntur ab Archiepiscopatu Mediolani, hie enumerantur.

Ex Plebe Bripii. Paretiae S. Antonii, S. Blasii loci Caprini, S. Gotardi, S. Gregorii, SS. Michaelis et Stephani Vallis Berattae, S. Pauli loci Montis Marentii, S. Andreae loci villae Abduae, S. Ambrosii loci Villesolae.

Ex plebe Olginati. S. Martini loci Calolcii, SS. Petri et Blasii loci Garenni. S. Laurentii loci Castrirossini, S. Brigitac loci Lorentini, S. Bartolomei Somaschae, Assumptionis BN. loci Valdervii, SS. Protasii et Gervasii loci Vercuragi.

Ex valle Averaria. S. Iacobi, S. Brigitae, S. Bartolomei loci Casiglii, S. Margaritae loci Cusii, S. Ioannis Bap. Mezoleli, S. Ambrosii Urnicae, Assumptionis B. V. Valtortae.

Ex valle Tallegia. S. Petri Oldae, S. Ambrosii Pizzini, S. lacobi Pegheriae, S. Ioannis Bap. loci sotto chiesa

Ex plebe Verdelli. S. Michaelis loci Arcene, S. Georgii Bolteri, SS. Faustini et Iovitae Brembati, S. Alexandri Capriatae, S. Marci et Martini Ciserani, SS. Petri et Pauli Grignani, S. Gervasii, SS. Petri et Pauli loci Levati, S. Lini Lurani, S. Laurentii loci Mariani, S. Zenonis Osii superioris, S. Zenonis Osii inferioris, S. Elisabethae Pognani, S. Michaelis Sabbii, S. Andreae Sforzaticae, SS. Petri et Pauli Verdelli majoris, S. Ambrosii Verdelli minoris.

Respectu Paretiae, quae dimmittitur ab Episcopatu Bergomensi Ecclesia parochialis loci Farae.

Quibus omnibus uniuntur etiam respectivae Ecelesiae filiales ad praenominatas Ecclesias et Parochias sub certis suis invocationibus spectan.Ies, et si quae aliae in Provincia Bergomensi dicto Episcopatui Bergomensi assignatae non fuerint expressae, habeantur pariter pro expressis. Quas quidem respectivas cessiones, ac renunciationes et translationes cum omnibus et singulis in hoe Actu contentis praefati Excellentissàmus et Reverendissimus Dominus Archiepiscopus Mediolani et fil.mus et Rev.mus D.nus Episcopus Bergomi vicissim ac respective semper et perpetuo rectas, validas et firmas haberi volunt et pro majori earum firmitate ac robore praeter impressionem sigillorum manibus propriis subscripserunt. Datum Mediolani die XXX aprilis MDCCLXXXVII.

Philippus Vicecomes Archiepiscopus Mediolani et Vallissolidae Dominus.

Joachim Comes Gambara decanus Metropolitanae Cancell. Archiepiscopafis.

loannes Paulus Episcopus Bergomensis Comes etc.

Iosephus Temperatus Cancellarius Episcopalis.