Parrocchia Mariano al Brembo

Dai Barbari al Medioevo

Nel 3° secolo d.C. iniziarono le invasioni barbariche che, in varie ondate distrussero tutto quello che c’era sul loro cammino, non tralasciando la popolazione che fu decimata.

Per primo calò sul territorio bergamasco Odoacre, seguito nel 402 dai Goti di Alarico, cinquant’anni dopo arrivò Attila con gli Unni, seguito nel 489 da Teodorico con gli Ostrogoti e da Belisario che era a capo dei Franchi.

Nel 564 ci fu una terribile peste come viene descritta da Giuseppe Ronchetti nelle “Memorie Istoriche” (vol. I, pag.26): “Per cumulo di tante sciagure che Bergamo e le altre terre sofferse per il corso di un secolo e mezzo, ed in preludio d’altre, che sovrastavano, una terribilissima peste circa l’anno 564, e ne’ due seguenti afflisse così terribilmente la venezia, che disabitate presso che interamente rimasero le città, e spopolate le campagne”.

L’anno 569 segna l’arrivo di altri invasori guidati da Alboino: i Longobardi il cui passaggio era segnato da devastazioni, incendi e morte. Essi trovarono una specie di zona selvaggia, con pochissimi abitanti che si cibavano di ghiande ed erbe selvatiche.

Riprendiamo dalle Memorie Istoriche: “La venuta dell’innumerabile popolazione de’ Longobardi, che uniti a moltissimi altri Barbari di varie nazioni invasero l’Italia, e quivi specialmente le loro abitazioni fissarono, venendo in tal guisa supplito alla mancanza degli antichi abitatori.”

I Longobardi erano un antico popolo d’Alemagna che, prode e valoroso e sempre libero, come già riconosciuto dai Romani, ma, essendo cresciuti in gran numero che il paese da loro abitato non era sufficiente a nutrirli, si spostarono nella Pannonia (Ungheria) e da qui calarono in Italia. Sotto il loro dominio il territorio venne suddiviso in tanti ducati, costituiti da Corti (composte da cascinali, campi, prati, boschi, che formavano un centro abitato autosufficiente).

La lingua latina non la parlava quasi nessuno, e la gente parlava il dialetto (un misto di lingue che comprendeva il latino e le parlate delle popolazioni che si erano succedute), il cosiddetto “Volgare” perché parlato dal volgo, dalla gente comune.

Sempre dalle Memorie Istoriche (vol. I, pag.35), apprendiamo che: “Racconta Paolo Diacono che circa questi tempi, e ci fu, come da altri autori si raccoglie, l’anno 586 venne uno sterminato diluvio d’acque, che altro simile dopo Noè non se n’era veduto, e a questa si rovinosa innondazione successe, che intere possessioni e ville furono distrutte, e gran copia di uomini ed armenti perirono”.

Il 774 segna l’arrivo dei Franchi di Carlo Magno che migliorò notevolmente la vita delle popolazioni che ricominciò a bonificare e dissodare la terra. L’alimento base era costituito da una specie di polenta, fatta con orzo e grano saraceno, di un colore grigiastro.

Il fiume Brembo forniva il pesce, mentre nei boschi si trovava ogni sorta di selvaggina, frutti selvatici, erbe. Per condire si usava l’“ole de linùsa”, olio di lino, che era una pianta assai diffusa, utilizzata prevalentemente per la tessitura.

Per quanto riguarda la struttura ecclesiastica sul territorio, dobbiamo ricordare che sino dal sesto secolo se non anche prima, le Diocesi di qualunque Città d’Italia erano divise in “Pievi”, ossia Chiese Battesimali, ben distanti le une dalle altre, e tra queste, che forse furono le prime Chiese edificate sino al quarto secolo nella campagna, era distribuita tutta l’estensione della Diocesi, e fissati i suoi confini.

Tutte le altre Chiese minori “Pievi”, dipendevano dalla Cattedrale. In quelle solamente si amministrava il solenne Battesimo, le adunanze dei popolo nei giorni festivi, e le altre funzioni ecclesiastiche.

Quindi i Preti che alle Plebanie Chiese presiedevano, furono detti “Arcipreti”, sino a quando fu introdotta nei chierici di alcune di esse la vita comune, e cambiarono il nome di Arcipreti in quello di “Prevosto”. Erano questi gli unici veri Parroci, e solo le loro Chiese si chiamavano Parrocchiali. I preti sparsi nelle chiese minori, ossia Cappelle, erano a questi soggetti e si dissero Cappellani, e talora esercitavano le funzioni che dall’Arciprete venivano loro domandate. Tale era la disciplina della Chiesa in Italia, e tale era il sistema anche nella nostra Diocesi.

Dalle Memorie Istoriche (vol. I, pag. 137), apprendiamo che: “Racconta il nostro Cronista Andrea Prete, che cadde tanta neve in Italia, e ben si può credere, che essendo egli Bergamasco parlasse anche del nostro Contado, che vi durò al piano per cento giorni, e fu un orribil ghiaccio. Molte delle sementi perirono, e le viti ne’ luoghi piani quasi tutte seccarono, ed aggiunge che gelò il vino nelle botti”. Mentre a pagina 152: “nell’anno 873 narra il nostro storico Andrea, che il vino appena posto nelle botti tutto s’intorbidò; che sulle piante, e foglie sembrava fosse piovuta sopra della terra, (dunque non sangue, come raccontano gli annali Fuldensi ragionando di questi contorni); che ai quattro di Maggio cadde una tal brina ne’ luoghi piani e nelle valli, che i pampini della vite ed i teneri germogli degli alberi s’inaridirono”.

Tra l’VIII e il X secolo, Mariano (Mareliano o Marliano, come si chiamava allora), faceva parte dei contado di Bergamo, alle dirette dipendenze del conte di Bergamo, e dal libro “Corografía Bergomense dei secoli VII, IX, e X” del Mazzi, troviamo più volte citato Marliano, attraverso documenti ufficiali, il primo dei quali datato aprile 909, dove dice: “Adalberto vescovo di Bergamo permuta con il suddiacono Todone del fu Bertone, abitante in Bergamo, tutto ciò che la chiesa di S. Alessandro possiede in Mariano, cioè la “sorte quandam Adreverti” e i diritti connessi, con i beni che Todone possiede in Osio Sopra “rebus costitute in fundo Mareliano, qui dicitur sorte condam Adreverto…”, e poi nel 932, 968, che ne attestano l’importanza.

In un altro documento del maggio 970 troviamo: ” Elmerico figlio di Teuperto del villaggio di Mariano, di legge alemanna, vende per quaranta soldi a Dagiberto del fu Walperto da Curnasco, diacono della Cattedrale di Bergamo, due appezzamenti a campo posti nel villaggio di Guzzanica. Nelle coerenze a Sud del primo campo detto “Cereto” vi è una proprietà del Patriarca di Aquileia”.

Dell’anno 970 troviamo citato Mariano, che faceva parte del Contado di Bergamo, che concesse ai Marianesi di costruire un “Castello” a difesa della “Villa”, essendo questo formato da 12 famiglie, che era il numero minimo indispensabile per ottenere questo privilegio.

Assieme a Guzzanica (Jussanica), era una delle 15 terre bergamasche fortificate con un “Castello” prima dell’anno Mille.

 

Fonte: “Appunti sulla storia di Mariano” di Mario Colombo