Dopo alterne vicende belliche tutta la provincia passò sotto la Repubblica di Venezia con la pace di Ferrara del 1428.
Il primo rettore veneto fu Girolamo Contarini che introdusse le leggi e i regolamenti della Repubblica di San Marco, ma la vita non migliorò di tanto, i combattimenti non cessarono, ma continuarono contro i Milanesi, e il nostro territorio che era vicino al confine ne subiva le tragiche conseguenze.
Nel 1487 numerose piogge provocarono lo straripamento dei fiumi come ci viene riferito dal Ronchetti a pag. 301: “Nell’autunno di quest’anno molti fiumi traboccarono talmente che atterrarono dei più grandi e belli ponti di pietra. Le acque del Brembo crebbero assaissimo sopra l’usato lor corso, e molti edifici gittati a terra, svelti molti altri ponti di sode pietre, e trattosi dietro gran numero di persone, che per il loro repentino impeto vi si affogarono. Grandissima fu la pioggia che il Brembo crebbe in tal guisa, che a Briolo, dove era un ponte di pietra di meravigliosa altezza ( era alto più di trenta braccia sopra l’acqua) lo superò in maniera che vi congregò sopra tanta quantità di legni grossi, che ne cadde frantumato dal loro peso. Né questo solo, ma gli altri tutti in numero di ventiquattro furono dalla corrente atterrati. Restarono in piedi il ponte di S. Vittore a Brembate, quel di S. Pietro e quel presso a Sedrina detto di Zogno. La piena del fiume durò per tre giorni”.
Tra il 1499 e 1529 si susseguirono le guerre, e la popolazione vide passare sui propri terreni gli eserciti di Francia, Venezia, Milano, Spagna, che la ridussero in povertà e che provocò la famosa peste dei 1529.
Del 1565 è il manoscritto più vecchio conservato nell’Archivio Parrocchiale, nel quale troviamo alcune note interessanti della vita di allora: “Nell’anno 1565, il Giovedì santo et il Sacratissimo giorno di Pascha si comunicarono nela parochiale di S.to Laurentio de Mariano tra homeni et done cento setanta otto (178) et no ga restati niuno da comunicar. Ego prete Franciscus curatus”.
Presso la Biblioteca Ambrosiana di Milano troviamo documenti a riguardo della visita compiuta da San Carlo Borromeo il 26 settembre 1566 (la Chiesa di Mariano apparteneva prima del 1598 alla pieve di Pontirolo e successivamente, fino al 1794 alla Pieve di Verdello e quindi alla Diocesi di Milano).
In tale occasione il suo Parroco fu creato da San Carlo Borromeo Vicario Foraneo “ad personam” della nuova Vicaria sorta dallo smembramento della pieve di Pontirolo. E fu conferito a Mariano il titolo di Parrocchia.
Alla fine del cinquecento c’era stata di nuovo la peste e un’invasione di cavallette che distrusse tutti i raccolti.
Nel 1629-30 ci fu la peste portata dai Lanzichenecchi, soldati germanici al soldo della Spagna. Più di un terzo della popolazione fu decimata e i sopravvissuti ridotti in miseria.
Per quanto riguarda Mariano, nel libro:”Storia della Peste del 1630″ di Lorenzo Ghirardelli troviamo che nel 1630 la peste è ormai entrata nel territorio bergamasco attraverso la pratica del commercio nonostante le proibizioni e le misure rigide per trattenere il flagello ai confini con il Ducato di Milano. Il morbo trasportato dai Lanzichenecchi esplode ai confini e si addentra piano piano nella Repubblica Veneta, spargendo lutti e miseria.
Anche la città di Bergamo non viene risparmiata, nonostante misure rigidissime contro gli scambi commerciali e l’ignoranza della gente. Le strade si riempiono di cadaveri puzzolenti, le chiese sono chiuse al culto per l’odore dei morti che fuoriesce dalle cripte ormai colme di defunti.
E’ necessario scavare grandi fosse comuni sotto le mura di S. Agostino e qui gettare a carrettate i cadaveri. Viene costruito un recinto ove inviare tutti i malati ed i sospetti, dando il nome al luogo “Lazzaretto”. A pag. 177 leggiamo: “Cresceva ogni di’ più il numero de gl’infetti e nel soprabbondare degl’ammalati, scemava il numero dei medici, de chirurghi, de barbieri, si’ perché alcuni di loro erano ammalati e morti”.
Il popolo disperato, privo di cibo e di governo, sta ormai degradando nella miseria più cupa, quando improvvisamente il male si ferma, i malati cominciano a guarire più frequentemente.
La peste piano piano sparisce dalle strade, si riorganizza la vita sociale e civile dei superstiti, si ricompongono le istituzioni di governo, di mercato e di religione. Grandi festeggiamenti ai Santi Patroni vengono fatti in città e in tutta la bergamasca.
Nel libro si parla anche della mortalità e sopravvivenza nel territorio: “Dopo la peste si contarono i morti e i vivi, ed a Mariano rimasero in vita 60 maschi e 30 femmine, e morirono 93 maschi e 93 femmine”. Da ciò deduciamo che subito dopo la peste il paese contava 90 abitanti.
I morti di Mariano unitamente a quelli di Osio Sopra furono sepolti nei pressi della “Cesina dei mortì”, come viene chiamata (la chiesina dei morti), che si trova tra il verde dei boschi nel lungo Brembo, vicino alla Cascina della Capra ad Osio Sopra, lungo la stradina che conduce alla Rasica.
Anche se va ricordato che la dominazione veneta, durata tre secoli e mezzo, portò anche a nuovi sviluppi commerciali che, siamo certi, interessarono anche i nostri antenati. Sotto Venezia fu costruito il primo Ospedale di Bergamo, mentre ebbe uno sviluppo notevolissimo il commercio della lana e della seta, e venne riorganizzata l’agricoltura.
Il 1705 segna l’arrivo degli Austriaci.
Con l’arrivo di due culture come il gelso, il mais e delle patate, assistiamo a radicali cambiamenti nella vita economica e sociale delle nostre campagne.
Il granoturco con il suo altissimo rendimento rese possibile l’alimentazione di un maggior numero di persone. La popolazione andò gradualmente aumentando e nel ‘700 si rese necessaria la costruzione di una nuova chiesa parrocchiale, in sostituzione di quella cinquecentesca.
La crescita del commercio della seta stimolò l’impianto di nuovi gelseti. Una vera manna per le famiglie contadine, anche qui a Mariano, che dalla vendita della seta ricavavano il denaro per quegli acquisti utili alla loro vita.
In questo secolo inizia per Venezia un declino progressivo, che lasciò il nostro territorio il 13 marzo 1797, e l’ultimo rettore veneto fu Alessandro Ottolini.
Ma di questo periodo dobbiamo ricordare un avvenimento che ha segnato la storia della nostra parrocchia e della nostra comunità: il passaggio dalla Arcidiocesi di Milano alla diocesi di Bergamo, avvenuta il 30 aprile 1787.
Quali le motivazioni? L’imperatore Giuseppe II, fautore di una politica di controllo sulla Chiesa, voleva unificare i confini delle ripartizioni ecclesiastiche con quelli delle circoscrizioni civili. In questo trovò l’appoggio della repubblica Veneta.
La santa Sede accettò queste decisioni con molta titubanza, e sanciva questo passaggio con una bolla pontificia, datata 6 settembre 1786. Qualche mese dopo il vescovo di Bergamo, Gianpaolo Dolfin, scrisse una lettera “ai dilettissimi parrocchiani, clero e popolo della porzione aggiunta alla sua diocesi auspicando ..che si stringano tra di noi quei forti vincoli di carità cristiana”.
L’atto ufficiale, redatto dalle due cancellerie vescovili, porta la data del 30 aprile 1787, e reca la firma dell’arcivescovo di Milano, Filippo Visconti, e del vescovo di Bergamo, Gianpaolo Dolfin. In esso si stabilisce che 43 parrocchie della diocesi ambrosiana vengano cedute alla terra di Sant’Alessandro. Le comunità appartenevano alle pievi di Brivio, Olginate, S. Brigida e Verdello.
A proposito di quest’ultima il documento dice:” Ex plebe Verdelli (dalla Pieve di Verdello). S. Michaelis loci Arcene, S. Georgii Boltieri, SS. Faustini et Iovitae Brembati, S. Alexandr Capriatae…SAN LAURENTI loci MARIANI, S. Zenonis Osii superioris, etc.”
La nostra dipendenza ecclesiastica alla comunità di Verdello continuerà fino al nostro secolo, quando per volontà di Mons. Adriano Bernareggi fu costituita nel 1953 la vicaria di Dalmine.
Fonte: “Appunti sulla storia di Mariano” di Mario Colombo