Parrocchia Mariano al Brembo

Dai comuni al Ducato di Milano

Verso l’anno 1000, con il sistema feudale che andava prendendo piede, non migliorò la vita della comunità, dove c’era molta miseria e un po’ di agricoltura (frumento, orzo, fieno, uva), mentre, dal punto di vista culturale ricordiamo che in questo periodo inizia a diffondersi il dialetto bergamasco, con una struttura linguistica (la stessa da noi oggi parlata).

L’impostazione feudale aveva attribuito alla Chiesa di Bergamo grandi proprietà immobiliari sia a Bergamo, che su tutto il territorio, ivi compreso Milano. Tali attribuzioni v’erano state anche a Mariano.

Dalle Memorie Istoriche a pag. 272, ne troviamo menzione: “Alcune carte di questo stesso anno (999) io debbo additare. La prima del mese di maggio correndo l’Indizione XIII e l’anno IV dell’impero di Ottone Terzo contiene una donazione fatta alla Canonica di S. Vincenzo di case e beni sì in Città, che nel territorio. Un certo Giovanni Prete abitante in Bergamo, che professava la Legge Longobarda lascia a detta Chiesa vari fondi situati in Giussanica, Mareliano, e Paterno, i quali furono di regione di Vulverado Archidiacono pervenutigli da Emerico di Mareliano, e da Pedreverga suoi genitori. Si sottoscrivono a questa carta per testimoni quattro illustri vassalli del Vescovo Regifrendo cioé Benado di Ambivere, Ariberto di Brembate, Attone di Trezzo, Odelrico di Rosciate“.

Un’altra donazione che riguarda Mariano la troviamo a pag. 297: “Parlato abbiamo di sopra di Teoderorolfo Archidiacono della Chiesa di Bergamo vivente a questi tempi, il qual fù, come dicemmo della nobil famiglia de’ Terzi, in prova di che è da osservare, che da una pergamena scritta il 12 di Maggio di quest’anno 1023 contenente una sua disposizione testarnentaria fatta a favore della Chiesa di S. Vincenzo, obbligando i Canonici a celebrare per lui l’anniversario, rilevasi chiaramente, che l’aggiunto – de Tercio – quantunque preso dal luogo originario di detta famiglia, pure passava dal padre al figliuolo, e perciò era divenuto vero cognome, come tanti altri di questi tempi. Dichiarasi adunque in essa, ch’egli lascia a detta Chiesa un prato non molto discosto da Fontana di Bertello della misura di sessantasei tavole, alcune case, e beni in Bonate dell’estenzione di cinque jugeri, un’edifizio di tintoria posto sulla riva del Brembo nel contorno della Villa detta Mariliano. Ordina che Landolfo chierico suo nipote, e figliuolo di Valderico di Terzo per tutto il tempo del viver suo ritenga in mano questi fondi e l’detto edifizio, acciò non riducansi in cattivo stato da mali lavoratori con obbligo a pagare ogni anno nel giorno del suo anniversario otto soldi, i quali siano divisi in maniera, che a ciascun prete, e diacono dell’ordine maggiore sieno corrisposti tre dinari, a sei Ordinari della SS. Trinità istituiti per testamento dal Vescovo Adalberto due danari per cischeduno, il restante di questi otto soldi vuole che sia distribuito a soddiaconi accoliti, e custodi“.

Un altro accenno a Mariano lo troviamo, sempre nelle Memorie Istoriche (vol. II, pag.8): “Fecero nello stesso anno (1124), una permuta di beni i Priori de’ due Monasteri di S. Paolo d’Argon, e di S. Benedetto di Crema, il primo di nome Gulielmo, ed il secondo Lanfranco, vi intervengono Pietro chierico, Giovanni d’Almenno, ed Alberto diacono dell’ordine della Chiesa, e plebe di S. Stefano di Mareliano. Le terre che si permutano sono in Blienno, ed in Almenno di quà dal ponte, dove il Monastero di S.Paolo aveva grossa possessione“.

Ed a pag. 92: “Verso la fine del medesimo anno (1160), il Vescovo Gerardo si trovava in Bergamo, ed ebbe una differenza co’ canonici di S. Vincenzo, e col comune di Bergamo intorno al risarcimento del Campanile di detta Chiesa. Si venne in deliberazione di eleggere tre arbitri per terminarla, i quali elessero poi Zozzone di Mareliano sapiente de’ decreti e delle leggi, col cui consiglio fu pronunciata sentenza, nella quale dopo aver assolto il comune di Bergamo dal debito di necessità lo obbliga per debito di carità a riattare il campanile“.

A pag. 121 troviamo un altro accenno importante,: “Leggesi adunque che fu fatta una convenzione tra Consoli del Comune di Bergamo cioé, Pacano di Monaco, Alberto Albertone Nozia, Maurisco di Rivola, Gullielmo della Crotta, Lanfranco della Monaca, Alberto di Mapello, Gio di Mozzo, Lanfranco dei Vitali e Vidone di Mareliano da una parte, e dall’altra alcuni di Romano a nome del lor Comune“.

Nel secolo X, il territorio di Mariano comprendeva immensi boschi di querce, castagni, orti e campi chiusi da muri di borlanti (enormi sassi raccolti nell’aratura o dal fiume), dove si coltivava il frumento, la vite, prati a miglio, irrigati dai vari corsi d’acqua.

In questo periodo i Comuni incominciarono ad essere autonomi, dichiarando la propria indipendenza dall’Imperatore Federico Barbarossa, che dopo alterne vicende venne sconfitto a Legnano nel 1176, dando via libera alla nascita dei Comuni, espressione della comunità locale.

Nel secondo volume, pag. 141, troviamo ancora interessanti notizie a riguardo di un nostro avo: “Usavasi allora citare innanzi a giudici secolari i debitori delle decime Ecclesiastiche, il che fece nel mese di ottobre anche il Prevosto di S. Alessandro, Don Bonifacio, portando innanzi ai Consoli, non so bene se ai maggiori, o a qué di Giustizia, una causa sopra le decime di Broseta, cui era tenuto Attone Pagani: ma poiché questi chiamato più volte a giudizio ricusò di comparire, Guidone di Mareliano Giudice e Console, a nome anche de’ colleghi ricevuto dal Prevosto il giuramento, sentenziò a di lui favore“.

Con l’emanazione degli Statuti di Bergamo del 1263 che consentivano ai Comuni di raggrupparsi per far fronte alle varie incombenze (pagare il tributo annuo, fornire soldati, ecc.); Dalmine e Mariano si unirono con Sforzatica; Sabbio e Guzzanica si unirono con Stezzano.

Questa situazione si protrasse per un centinaio d’anni.

Per due secoli il nostro territorio visse una situazione di grande precarietà, prima sotto il dominio della signoria di Giovanni di Lussemburgo re di Boemia e di Polonia, poi sotto i Malatesta e i Visconti di Milano.

Nell’aprile del 1316, in alcuni atti conservati dal Mazzoleni nel suo “Zibaldone” e citati dal Mazzi nel suo libro “La società delle armi di S. Maria Maggiore ed il suo Statuto”: ” Compare un Guglielmo di Mariano, unus ex dominis octo sapientibus de Societate Iustitie populi Pergami, VI è dunque la testimonianza di una nuova Società di Giustizia, probabilmente promossa dallo stesso Visconti“.

Sempre di questo periodo troviamo nelle “Memorie Istoriche”: “Venne nell’anno 1351 a regger la nostra Città e Provincia il Sig. Biagio de Capelli di Milano, come podestà avendo per giudice ed assessore il Sig. de’ Corteggi di Cremona. Così leggesi in un rotolo de’ beni Capitolari di Osio Superiore e Mariano“.

Mentre a pag. 104 troviamo: “Strabocchevole e prodigiosa fù la quantità di neve caduta in quest’anno 1359, per tutta la Lombardia. In Bergamo sei giorni e sei notti continuò senza posa cominciando li 10 Gennajo, e s’alzò più di quattro braccia sopra terra, leonde rovinarono molte case, e gettata dai tetti arrivava sino alle gronde delle abitazioni, sicché per nessuna contrada potevasi transitare, nè usare cavalli e carri“.

Ma non fu questo l’unico flagello che ebbero a sopportare, e più avanti troviamo: “la carestia con ferocia tribulò in quest’anno (1374) quasi tutta l’Italia, cagionata dalle piogge, che continuarono dal principio di aprile sino al luglio, per cui si guastarono le biade e le erbe. I poveri abitanti delle nostre valli si morivan di fame, e molti colle loro intere famiglie si portavano in città per avere di che vivere, il che serviva a far crescere vieppiù il prezzo de’ commestibili. Quindi ne venne un’orribile pestilenza, che innumerevoli uomini estinse. Bernabò Visconti scrisse una lettera circolare spedita da Milano in cui ordina che qualsiasi persona di questo male infetta esca dalla città, o dalla terra di suo soggiorno, e si porti nella campagna sotto le capanne, o nei boschi finché moja o risani. Chi altrove porterà l’epidemia similmente sarangli confiscati tutti i beni senza speranza che gli vengano restituiti”.

Sempre in quegli anni, e precisamente il 25 maggio 1380, avvengono misfatti ad opera dei Guelfi e Ghibellini nel nostro territorio, al punto che, le autorità per calmare un po’ gli animi, tradurrà in Rocca a Bergamo 21 Guelfi e 10 Ghibellini, tra i quali il Ghibellino Tensa di Mariano.

Ma chi erano i Guelfi e i Ghibellini?

Erano due fazioni sempre in lotta tra di loro, nate dagli stessi scontri tra il papato e l’Imperatore: i Guelfi parteggiavano per il Papa, mentre i secondi per l’Imperatore.

Si distinguevano dal modo di vestire: se era Ghibellino portava alla cintura una fascia gialla e sul cappello un fiore che d’ordinario era una rosa, anche essa gialla, mentre Guelfo era colui che portava una fascia e un fiore color vermiglio.

In bergamasca i Ghibellini erano rappresentati dalla potente famiglia Suardi, mentre i Guelfi dalla famiglia dei Colleoni. Da qui nacquero scontri, lotte, uccisioni e devastazioni che toccarono, come vedremo, anche il nostro paese.

Tornando ai documenti certi, troviamo a pag. 157: “L’archivio della Cattedrale ci somministra una pergamena del seguente anno 1386, intorno al possesso dato ad Antoniolo di S. Gervasio del beneficio chiericale nella Chiesa di S. Michele di Pontirolo nuovo per permuta fatta d’altro beneficio nella Cattedrale di Bergamo, e ciò con espressa facoltà del Vescovo nostro Branchino. Gio Busio da Ponte Canonico della Chiesa e Pieve di S. Stefano di Fara Lovana della nostra diocesi in vigore della commissione speditagli dal Vescovo gliene dà il possesso. Rileviamo da questa carta che Gio di Mareliano era allora prevosto dell’insigne Chiesa, e Pieve di Pontirolo vecchio“.

A pag. 181: “Il 26 di decembre 1397, un orribile terremoto abbatté in Lombardia molte fabbriche ben fondate, dal quale Bergamo col suo territorio sperimentò dannosissimi effetti”.

Continuavano intanto le malefatte dei Guelfi e Ghibellini, ed, in data 12 settembre 1398 anche il nostro paese ne fece le spese: “Essendo il nostro un paese dove forte era la fazione Ghibellina, vennero un gran numero di Guelfì dalla valle Imagna, che misero a ferro e fuoco il paese, compresa la casa di Luca di Brembate ghibellino“.

Mentre il 26 gennaio dell’anno seguente. 3.000 bergamaschi in processione si fermarono a Mariano per promuovere la pace.

Un’altra peste ci viene segnalata nell’anno 1400: “Intanto infieriva in Bergamo e nelle campagne il pestilenzíoso morbo che portò la strage nel territorio ancora, essendo morte in poco tempo più di venti mila persone, e il maggior furore fu nella state, come scrive il Corio“.

Non meno dolorose furono le conseguenze delle stragi e distruzioni ad opera delle fazioni dei Guelfi e Ghibellini, che non tralasciarono di toccare anche Mariano come rileviamo a pag. 215: “Quante atroci, e sanguinose discordie bollirono nel seguente anno 1407 tra le diaboliche fazioni Ghibellina e Guelfa! Danni grandissimi esse fecero rubbando, abbruciando, ferendo ed uccidendo massime nelle terre di Sforzatica, Mariano, Osio inferiore, Levate, Comun nuovo, Spirano, Pognano, Lurano, ed in Romano“.

Passano alcuni anni ed il nostro territorio ricomincia a popolarsi, e grazie allo sfruttamento idrico rese possibile lo sfruttamento di varie coltivazioni: ortaggi, frutteti, vigne, prodotti dell’arativo e ne cambiò radicalmente l’aspetto.

Altro passaggio importante fu l’introduzione della coltivazione del gelso, al fine di espandere la coltivazione del baco da seta. E’ merito di Galeazzo Maria Sforza, Duca di Milano, che “impose a ciascun possessore di pianura, di piantare cinque gelsi ogni pertica di terreno e volle che chi non ne avesse il mezzo fosse fornito gratuitamente dal suo incaricato Matteo Osmà, maestro di seta in Milano“. In questo modo la coltivazione del gelso, “i moroni“, si diffuse anche sul nostro territorio.

 

Fonte: “Appunti sulla storia di Mariano” di Mario Colombo